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418 sulle pendici del carso


Storie di prigionieri, di rese, di catture, sono innumerevoli. In quei giorni operava sul Carso una famosa batteria da campagna che era conosciuta dalle truppe precisamente col nomignolo di «batteria dei prigionieri». Aveva la specialità di catturare gli austriaci a mezze compagnie per volta, da sola. Nelle nostre linee arrivavano all’improvviso bande di nemici che si arrendevano, adunati e condotti dal fuoco dei cannoni. Quando la batteria scorgeva dei nuclei nemici in ritirata, li fermava con barriere di esplosioni, li costringeva a cercare uno scampo nel ritorno, li accompagnava, li sospingeva con una minacciosa siepe di shrapnells non permetteva loro che deviassero, lasciando così una sola via aperta alla loro marcia, quella della resa.

Gli austriaci incalzati, incapaci di mantenere il terreno ad onta della tremenda preparazione difensiva, meditarono un gran colpo. Divisioni fresche arrivavano continuamente dalla Galizia a rinforzo. Fin dal 10 di luglio grandi masse nemiche venivano adunate per una offensiva generale e risolutiva. In quell’epoca cominciò a notarsi appunto l’entrata in azione di numerose batterie pesanti. Per sloggiarci dall’altipiano carsico pensarono di sviluppare l’attacco principale contro la nostra ala sinistra.

Appariva infatti in quel momento la più vulnerabile. Una volta forzata la sua estrema punta sull’Isonzo, un ripiegamento di tutta l’ala