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sinistra poteva essere provocato. Ripiegare sotto la pressione di un’offensiva possente significava, con molta probabilità, ripassare il fiume. Sarebbe stata la perdita dei ponti, l’annullamento dei risultati ottenuti con sforzi meravigliosi durante quasi due mesi di lotta tenace, il ritorno al principio in condizioni ben più difficili per una ripresa dell’offensiva. La nostra destra invece aveva Monfalcone come sentinella estrema, e un attacco contro di essa, anche fortunato, non avrebbe ottenuto un resultato definitivo quale quello di ridare il pieno controllo dell’Isonzo. Il piano austriaco era dunque perfetto, come sono perfetti tutti i piani prima che falliscano.

Al mattino del 22 luglio il grande attacco austriaco si sferrò. Tutta la notte delle offensive minori avevano tastato la nostra fronte, forse per riconoscerla, forse anche per stancare le guarnigioni e trovarle più deboli e meno pronte all’urto che si preparava. Numerosi generali comandavano il movimento offensivo, fra i quali il principe di Schwarzenberg, il generale Boog, il generale Schreitter. L’azione cominciò con un bombardamento formidabile.

Delle persone che osservavano le posizioni da lontano, le videro letteralmente coprirsi di fumo. Si ovattavano tutte di nubi di shrapnells. Il rombo intenso della cannonata non affievoliva un istante. Pareva impossibile che si potesse resistere in quell’inferno. Si aveva l’impres-