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tanta vita da fornire lo scarso pane quotidiano.» (Prensa).

La crisi si allarga, invade tutto. «Chi non sente il disastro? Non v’è un solo fenomeno della multipla attività nazionale che non attesti la crisi. Nelle campagne come nelle città, nelle imprese agricole come nelle officine, nell’ufficio dei grandi negozianti, come nello spaccio del venditore, nella casa della famiglia benestante come nelle abitazioni dell’operaio, si sente lo stesso malessere, si parla con paura e con angustia delle penose difficoltà che vi sono per provvedere alle prime necessità della vita» — scriveva lo stesso giornale, che cito a preferenza, oltre che, per la sua importanza anche perchè è stato quello che più mi ha gridato la croce addosso per le mie prime lettere argentine. Si giunge al punto che mancano i fondi per pagare i piccoli stipendî. «Per la prima volta da venticinque anni» — scriveva El Pais, noto giornale portavoce del finanziere senatore Pellegrini — «si arriva al primo del mese senza che la tesoreria abbia i fondi necessarî per pagare gli stipendî dell’amministrazione.»

A Buenos Aires i pensionati delle amministrazioni restano otto mesi senza ricevere un soldo. Il Governo non paga talvolta nemmeno gli operai, che pure non hanno altre risorse fuori del loro lavoro. Vediamo gli operai del porto di Riachuelo — tutti italiani — rifiutarsi al lavoro perchè da due mesi non sono pagati. Lo sciopero ha per effetto il licenziamento immediato di molti, ma non certo l’immediato pagamento. Nello scorso mese di maggio centocinquanta italiani che lavoravano alla costruzione di caserme a Mendoza si sono posti in sciopero, perchè dal primo di gennaio non avevano ricevuto un centavo di paga, e vivevano di piccoli debiti caritatevoli fatti presso dei fornitori, trascinando una esistenza di miserie indescrivibili. Dopo alcuni giorni di trattative hanno ricevuto tre mesi di