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i figli degli italiani 175


le loro tende nel Canadà, ritornando più Gallesi di prima. Nel Brasile vi sono dei Municipî tedeschi nei quali tutti gli atti si scrivono in tedesco. I figli d'italiani — nella generalità dei casi, s'intende — non sono italiani, nè nella lingua, nè nel sentimento. È colpa loro? È colpa dei loro padri? No; il male è qui, in casa nostra.



La prima caratteristica d'un popolo è la sua lingua. La lingua è il più grande vincolo fra gli abitanti d'una stessa nazione; è, per modo di dire, il segno primo di riconoscimento, come un gergo fra gli affiliati d'una stessa immensa associazione. Sul marciapiede d'una città straniera, quando fra il vocìo esotico della folla è dato di udire una parola del nostro idioma, noi ci volgiamo rapidi, col cuore pieno d'una subita gioia come se la voce di un amico ci avesse salutato, e ristiamo presso allo sconosciuto che parla la nostra lingua, trattenendo la voglia di stendergli la mano, di gridargli: «Sono italiano anche io! venite qui, non mi lasciate!» — e lo guardiamo con tristezza mentre si allontana, sentendoci ripiombare nella soffocante melanconia della solitudine. Parlare la propria lingua all'estero significa respirare un po' d'aria della Patria; due parole, un saluto, bastano a sollevare il nostro spirito, come se quelle parole venissero da «là»; è tutto quanto di più caro abbiamo nella vita che ci parla in quel momento; poche parole del nostro idioma bastano a far compiere all'anima un rapido viaggio in luoghi amati e lontani, e farla tornare più lieta e serena.