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intatto lo status-quo, il deputato Abele Damiani, rivolgendosi al Cairoli, aveva detto: «Non fu la Francia che quando occupava l’Algeria sentì, in faccia alle proteste generali, la necessità di dichiarare che essa non avrebbe mai attentato all’integrità del territorio tunisino e del Marocco?»

Ma il ministro Cairoli, poche settimane prima della spedizione tunisina della Francia, per calmare l’eccitazione dell’Italia, aveva dichiarato che la prima non intendeva annettersi la Tunisia e che aspirava solo ad «una legittima influenza nella Tunisia che le spetta come a civile e potente nazione», senza avere perciò l’intezione «di contrastare punto il diritto altrui». Per modo che egli poteva, in sua coscenza, concludere che: «Tutte queste dichiarazioni provano il proposito di rispettare lo status-quo nel quale sta la guarentigia dell’equilibrio reciproco».

Se questo modo di ragionare non è un modo di ragionare da ideologo, vuol dire che la politica coincide con l’ideologia: ma di questo parere non furono, nè sono, nè saranno gli uomini di governo, che conoscano la difficile arte del governare e del reggere gagliardamente gli Stati. Ma il Cairoli, affermando a suo discarico di aver seguita, in ogni caso, la politica delle «mani nette», si dimostrò uno dei maggiori ideologi, che siano stati al governo d’Italia, dalla fondazione del Regno ad oggi.

«Politica della mani nette» è parola vuota di senso, ossia ideologia; ideologia che spesso è fiaccato gli uomini che si sono lasciati da essa affascinare e spesso à provocato mali irreparabili alle Nazioni. La conquista o — se vi piace — il prottettorato della Tunisia da parte della Francia à dimostrato in modo inequivocabile che la politica suddetta non esiste e non esisterà mai.

La Tunisia — comunque — fu perduta per l’Italia e la