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nella questione d’Egitto, avrebbero dovuto subito accettare, non foss’altro che per reazione alla Francia, occupatrice della Tunisia, contro gli evidenti ed ingenti interessi dell’Italia in quella Reggenza: invece, anche ora, sembrò virtù l’astenersi, forse perchè l’Italia — secondo il Visconti-Venosta — «non poteva permettersi il lusso di un’Algeria».

Ma, astrazion fatta di queste considerazioni, sta di fatto che l’intervento d’Italia in Egitto era reclamato dai maltrattamenti, soprusi, uccisioni e saccheggi che gli Italiani colà residenti avevano dovuto subire, per la rivolta anche xenofoba scoppiatavi. Ed il rifiuto è tanto più inesplicabile e riprovevole quanto più si rifletta sulle esplicite dichiarazioni che il Mancini stesso aveva fatto con sua circolare del settembre 1881 alle RR. Rappresentanze all’estero, circa le direttive che il Governo italiano si sarebbe imposto nei casi gravi d’Egitto.

La circolare, certamente prolissa, affermava, tra l’altro che: «Sarebbe impossibile per l’Italia assistere silenziosa ed indifferente a prevedibili avvenimenti che potrebbero modificare la condizione politica del governo egiziano. Essa non può venir meno ai doveri che le sono imposti, sia come potenza mediterranea e firmataria del trattato di Berlino, sia come naturale tutrice dei rilevantissimi interessi nazionali in Egitto... E, poco dopo, soggiungeva che era necessario «a nostro avviso esaurire ogni sforzo per risolvere la questione egiziana mercè un atteggiamento concorde da parte della grandi potenze il quale escluda la necessità del ricorso alla ragione estrema di una intervenzione armata..... a preservare, così, il paese dalla eventuale necessità di una occupazione militare per opera di qualunque straniera potenza...» infine, la circolare in parola, faceva intendere che sarebbe stato preferibile un intervento armato della Turchia, da cui l’Egitto, almeno nominal-