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rifiutava di combattere restaurando indirettamente il prestigio dell’esercito italiano. «La ferita di Dogali — scrive il Palamenghi — non aveva avuto il balsamo della vendetta, però l’onore delle armi era salvo» (pag. 109).

Contro il sennato parere del Minghetti, il Mancini aveva lasciato insoluta la questione giuridica del nostro possesso di Massaua: e dire che egli era giurista di grido!

Salito al potere, Francesco Crispi cercò di porre riparo ad un sì instabile ed equivoco stato di cose, pur dovendosi far notare come, personalmente, egli avesse avversata la ricerca delle chiavi del Mediterraneo fuori del Mediterraneo: infatti — da statista di razza e da uomo dall’intuito lucido e penetrante — pensava come il campo di lotta dell’Italia unita era il Mediterraneo, almeno in un primo tempo; salvo poi a lanciare lo sguardo oltre quel mare, che l’apertura dell’istmo di Suez aveva ancora una volta reso uno dei massimi bacini di attrazione civile ed economico del mondo.

Ma — comunque — non conveniva disfare quel che era stato così male imbastito dai suoi predecessori, anche perchè l’Italia non ne subisse disdoro alcuno dinanzi alle potenze e veruna deminutio capitis, specialmente nei confronti del più agguerrito ed organizzato popolo africano, anche se soltanto africano.

Avvenne, adunque, che, volendo il Crispi sistemare giuridicamente la posizione giuridica del recente possedimento italiano, si trovò ostacolato dalle pretese della Francia, la quale pare abbia avuto per mira costante di ostacolare un benchè minimo ingradimento dell’Italia. Ad ogni modo, a noi preme narrare possibilmente sine ira et studio in che modo si svolsero i fatti.

La Francia pretendeva di conservare il diritto alle Capitolazioni e l’Italia, governata saggiamente dal Crispi, pretendeva, a maggior ragione, che fossero abolite. Così, per