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dovrebbe a suo tempo venire segnato di comune accordo con colonnette sul terreno.

«S. M. — diceva egualmente la lettera — il mio Augusto Sovrano dice ancora che, avvenuto l’accordo su queste due condizioni, egli è pronto a stipulare un trattato di amicizia e di commercio con Vostra Maestà per facilitare gli scambi fra l’Italia e l’Abissinia con vantaggio comune...»

Al che Re Giovanni rispose, per lettera, che la riconciliazione era impossibile.

«Come potrei concedere il paese che i re miei avi governarono? Cristo li diede a me. Dove dobbiamo incontrarci perchè il sangue cristiano sia sparso? Io mi trovo in un posto e voialtri in un altro; che cosa ci può incontrare? E però da quest’ora non verrà più il mio messo e che il vostro non venga più da me».

Comunque, il Negus — come si disse — si era ritirato, temendo che, a cagione di un insuccesso, potesse essere esautorato dinanzi ai suoi vassalli. Del resto — secondo l’Antonelli — re Giovanni era sceso sin presso la costa perchè l’esercito suo era talmente affamato da gridare abiet, voce che serve a chiedere giustizia ad oltranza, fino a che il signore non si degni di ascoltare tale querela.

E poi — dicevano i soldati abissini — «noi possiamo affrontare un esercito di uomini, ma non un esercito di Dio che viene dal cielo».

Volevano essi alludere al pallone che il San Marzano aveva fatto inalzare per spiare meglio le mosse dell’esercito nemico. Inoltre, avendo Ras Alula mandato alcuni suoi uomini sotto le mura del nostro forte per sparare alcune fucilate, essi si videro accecati in piena notte da uno sfolgoranto sole..... di luce elettrica. Il timore panico tu tale che non ardirono più sparare una fucilata.

In tal modo il nemico, non sicuro delle sue forze, si