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La guerra «per forza» era stato il Negus a volerla e, quindi, il conte Antonelli ne aveva approfittato per trascinare Menelìch dalla parte dell’Italia, tanto più che lo stesso Antonelli sapeva benissimo che i sentimenti di Menelìch verso il Negus erano quanto mai ostili.

Così, quando re Giovanni aveva ingiunto al suo vassallo Menelìch di prepararsi alla guerra, questi aveva risposto dichiarando la sua neutralità: era un vero e proprio atto di ribellione, di cui doveva giovarsi l’azione dell’Italia nei confronti dell’Imperatore d’Etiopia.

Ma se Menelìch, dietro gli stessi suggerimenti dell’Antonelli, si era ribellato indirettamente al suo signore, non era tanto forte, d’altra parte, da contrastare seriamente ad un tentativo di castigo, che fosse venuto da parte del Negus, appena costui fosse riuscito, in un modo o nell’altro, a mettersi d’accordo con gli Italiani. Nell’intento di dissuadere l’Imperatore a castigare esemplarmente il vassallo fedifrago, era, adunque, necessario che quest’ultimo fosse tanto armato e tanto forte da dissuadernelo.

Così, tra l’Antonelli e Menelìch, fu convenuto che, mentre questi si obbligava a sostenere gli Italiani contro gli assalti del Negus, quegli, a nome dell’Italia, gli avrebbe fornito 5 mila fucili Remington.

Il Menelìch, appunto perchè doveva essere convinto del diniego del Negus, fece un’offerta di mediazone, la quale, benchè potesse sembrare ambiziosa, fu tuttavia accettata. Ma tale accettazione non ebbe sèguito, perchè il Negus non intendeva retrocedere di un passo: gli Italiani dovevano restare confinati a Massaua, se volevano ottenere la pace dell’Abissinia. Ma il re d’Italia aveva fatto rispondere, a sua volta, che anche lui voleva la pace ma «dopo che la iniqua aggressione dello scorso anno abbia avuto soddisfacente riparazione».

Si sa come il Negus aveva risposto.