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Tale avvicinamento, transformatosi poi in vera e propria alleanza, sarebbe dovuto costar caro all’Italia, sempre per l’insipienza di coloro che, in frangenti difficilissimi, non ebbero sempre la forza delle estreme decisioni.

Menelìch era figlio naturale del primogenito Sahle Sellasié, re dello Scioa e «dei più saggi principi — dice il Martini fra quanti ne ricorda la storia dell’Etiopia». Il maggior figlio di lui, Ailù Malacòt, poco più che quindicenne, ubriaco di idromele e di arachi, possedette la più brutta delle schiave della madre, Egigaió. La quale partorì un bambino a cui fu imposto il nome di Menelìch.

Si narra che un monaco, tenuto in conto di profeta, avesse predetto a Sellassié che il primogenito del suo primogenito avrebbe conquistato il trono dell’Etiopia.

Dunque, Menelìch, re dello Scioa, si ribellava a Giovanni, alleandosi con gli Italiani, col preciso intendimento di cingere la corona di re dei re. Nel settembre del 1887, quando il Negus aveva già stabilito di «gettare a mare gli Italiani,» Menelìch si era fatto mediatore di pace tra l’Italia e l’Etiopia. Anzi, in una lettera, scritta dall’Antonelli al Crispi, da Addis Abebà, il 29 ottobre dello stesso anno, si rileva che il Menelìch amava tanto l’Italia da sentirsi «quasi Italiano». Ma, d’altra parte, «o per amore o per altra ragione che qui non è il caso di dire, sono legato all’Imperatore con un giuramento di amicizia e di fedeltà». E — come diceva — trovandosi «nella più penosa delle situazioni» non voleva tuttavia restare «inoperoso». Voleva la pace per il bene di tutti. «Se l’Italia e l’Imperatore aderiscono alla mia proposta, per le trattative difinitive invierò io stesso i miei ambasciatori in Italia, ed il mio nome sarà grande nella storia del mio paese.

«Se poi o l’uno o l’altro rinunzierà alla pace, io so quello che debbo fare. Non darò mai il mio appoggio a chi vuol la guerra per forza.»