Pagina:Macaluso Aleo - I primi passi dell'Italia in Africa, 1932.pdf/60

Da Wikisource.

con Menelìch, a proposito del trattato ed a proposito del confine. Si mostrava d'altronde fiducioso, purché il Governo avesse saputo «approfittare dell’impressione che à fatto su Menelìch la nostra partenza per esigere che se vuol riprendere le trattative mandi lui alla costa un suo Capo di fiducia.

«Menelìk si trova imbarazzatissimo e se si persuaderà che l’Italia può adirarsi seriamente contro di lui, diventerà umile e condiscendente come lo fu sin qui.

«Oggi è stato un eccezionale colpo di testa che non è nella natura di Menelìk ed una nostra dimostrazione può farlo pentire.

«Quello che sapratutto è da evitarsi è che Menelìk non creda che può fare quello che vuole coi rappresentanti del Re d’Italia, rimediando con lo scrivere lui stesso al nostro Re».

Dunque, l'Antonelli era — come Crispi — per una politica di fermezza e di prestigio.

Ma così non la pensarono i componenti il ministero Giolitti-Brin, i quali si affrettarono con voluttà cieca a disfare quanto era stato egregiamente fatto dai loro predecessori immediati. Di guisa che tutto fu quasi irremediabilmente compromesso per l’avvenire. La cosa più grave, in ogni caso, non fu l’invio di due milioni di cartucce a Menelìch bensì le rivelazioni diffamatorie al riguardo di costui, comparse nel Libro Verde.

Menelìch aveva nel frattempo assunto il titolo di Menelìch II. Ravvedutosi della brusca rottura delle trattative con l’Antonelli, aveva scritto a re Umberto in termini molto ossequiosi, senza però accettare quanto era stato solennemente sancito dai trattati. Da quel momento, quindi, la prudenza consigliava che si apparecchiasse per la guerra, poiché la pace non era possibile dignitosamente ottenerla.