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Nel frattempo Italia ed Inghilterra si erano accordate sui limiti delle rispettive frontiere dell’Eritrea e del Sudàn ed avevano comunicato alle Potenze quanto era tra loro intervenuto: Menelìch II, dal canto suo, si era premurato di far conoscere pure alle Potenze i confini del suo impero indipendente, includendovi territori tutt’ora accupati dall’Italia. Il dissidio era giunto ad un punto che ben poteva dirsi incomponibile: infatti, il 21 febbraio, era avvenuto il combattimento di Halàt, in cui gli Abissini, sempre superiori di numero, ebbero la peggio, fuggendo precipitosamente davanti l’incalzare delle truppe italiane vittoriose. Alla fine dell’anno 1891. per intercessione di Mangascià, che, desiderando scalzare Menelìch, cercava gli appoggi dell’Italia, il generale Gandolfi riuscì a firmare un effimero patto di pace e di amicizia con Ras Alula e Ras Sebath. Il Tigrài restò in mano al Mangascià il quale riconobbe il confine Marèb-Belesa-Muna.

Con decreto 28 febbraio 1891, il generale Gandolfi era stato sostituito dal Baratieri già vice governatore da colonnello, ed ora promosso generale.

La rivolta mahdista non tendeva a cessare.

Il Mahdi, Mohàmmed Ahmed, era morto nel 1885; il suo successore, o Calìfa, Abdullàhi, non era all’altezza della situazione: quindi, benchè l’impero di lui fosse vasto circa due milioni di chilometri quadrati ed avesse una popolazione presunta di 10 milioni di anime, era evidente che, cessato il fanatismo sul quale era fondato, esso dovesse dissolversi; comunque, era vero che fino ad ora tutti erano stati tenuti in iscacco: Egiziani, Abissini, Inglesi. Gli Italiani soli erano riusciti a tenerli in rispetto, infliggendo loro due importanti sconfitte; la prima ad Agordàt, la seconda a Sarobetì. Ma sembrò ad Abdullàhi essere possibile ottenere anche sugli Italiani una clamorosa rivincita. Apprestò, quindi, un esercito di oltre 10 mila