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98 le cerimonie


in formolario e son venuti via

stropicciando cinquanta riverenze
e quinci dando in cantilene, allora
mi sono infastidito, sí che andava
a morte. Io credo le imparino a mente.
Un certo ha incominciato in tuono di
orazione; troncando, l’ho interrotto
e dette due parole, come fosse
al fine; quegli in vece di rispondermi
è tornato da capo; io l’ho interrotto
di nuovo ed egli allor, ficcando gli occhi
nel muro, ha preso a dir su presto presto:
io me gli son cavato pianamente
di sotto, ei proseguiva disperatamente
guardando pur il muro; parmi
di vederlo, e son certo che va dietro
ancora.
Bruno.   Io so chi è, certo fa ridere.
Orazio.   Ma poi in qual confusione mi avea posto
mio zio Lucindo che si era messo
a farmi l’assistente ed or volea
che mi abbassassi quattr’once di piú,
or due di meno, e non gli dava mai
gusto. Vado all’incontro d’un che arriva,
e mentre sono in via, quegli mi tira
di dietro in fretta e mi fa rimanere
a mezz’aria, dicendo: — Basta tanto. —
Viene un altro, vo’ andar fin dove aveami
fermato l’altra volta, e quegli mi
dá d’un ginocchio nel seder, dicendo:
— Con questo vuoisi andar piú innanzi. — Che
impazzimento è cotesto? Gli ho detto
che un’altra volta faccia tanti segni
in terra, e appresso i nomi di ciascuno.
E quando egli volea che mi fermassi in
un sito e all’apparir d’alcuno mi