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atto terzo 119


piu graziosa novella. Vengo di

casa Balzani, ove ho trovato in sala
il padrone venuto incontro ad altri
gentiluomini giunti anch’essi allora.
Ci siamo incamminati quetamente
per entrar nella stanza: quando siamo
all’uscio della prima, ecco ch’i’ veggo
un dar addietro di tutti ed un farsi
da largo; guardo se c’è serpe o drago
nell’altra stanza e non c’è nulla, chieggo
al piú vicin: che c’è? Quei non risponde,
ma veggo farsi tutti in semicircolo,
qual se si fosse a una recita e sento
incominciar ciascheduno a difendersi
da l’entrar prima: «tocca a lei, signore
Elitropio; anzi a lei, signor Alipio:
Vossignoria è piú prossima, Vossignoria
è piú avanti col merito: Ell’è
in carica: Ella ha carica maggiore
da l’etá: Io non posso in questa casa,
perché ci ho parentela: Squitiminia
suocera di mio padre fu sorella
uterina de l’avo d’Alticherio».
A me parca d’esser proprio a comedia.
Ma tra per prieghi e per spinte alla fine,
comunque fosse, si trapassò;
di che mi consolai, perché premeami
di spedirmi. Ma oimé, ecco all’altr’uscio
torniam da capo: «Io non andrò, non voglio
raddoppiare il mio error: la cosa è giá
decisa; vada; io la prego; io la supplico».
Vedend’io che doveasi aver battaglia
ad ogn’uscio, adocchiai quanti ancor n’erano
e ristetti, perché ci vidi all’ultimo.
Ma in questo udiamo altri venir, lo avvisano
i servidori e ci arrestiam. Se n’entrano