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120 le cerimonie


piú signori e ci fanno inchini e baie,

poi ci avviami verso l’ultima camera.
Come la frotta era cresciuta e aveansi
da replicar con questi le moine,
giunti vicino all’uscio, con piú forza
si arretran tutti e si allargano: i primi
dàn nei secondi. Eran tra gli altri due
giovani, l’un de’ quai nel dare addietro
pose a sorte la mano su la spada,
forse perché a qualcun non desse noia;
l’altro che ha bieca guardatura e faccia
di stordito e che dicono sia sempre
pien di sospetti, al veder ciò in un súbito
fa motto di sguainar la sua: il padrone
allora: — Ferma, alto lá! in casa mia? —
I servidor corrono via per ire
a prender armi, un d’essi in capo de la
scala rotola giú e sopra lui
l’altro; al rumor vien dentro chi passava
e dimanda che sia; un di coloro:
— I gentiluomin su sono alle mani. —
Quei corre fuor gridando: — Due o tre morti
son su la scala; — forse avranno dato
nella campana a martello. Ma io,
ridendo sempre come un matto, per la
gran premura che avea senza far motto
mi son partito.
Bruno.   O stravagante caso!
Non s’udí il simil mai. Or non bisogna
perder piú tempo; saran ragunati
a quest’ora, e non è di convenienza
ch’ella si faccia aspettare.
Grazio.   Oimé, questo
sí ch’è un passar dal ridicolo al serio.
V’andrò come la biscia va all’incanto.
Bruno.