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atto quinto 149


le persone nei siti; io mi son posto

dove Valerio m’ha detto senz’altro,
ma ecco vien la moglie e fa levarmi
gridando: — Non è questo il primo luogo,
s’inganna mio marito; — allora dispute:
«è quello perch’è in fronte de la sala;
è questo perch’è in faccia all’uscio per
cui or s’entra; quel sito è piú comodo;
questo è piú fresco». Al fin m’è convenuto
levarmi e andar da l’altra parte, dove
mi son trovato in un riscontro di
vento ch’a un’altro saria forse stato
caro, ma a me non l’era punto e forse
mi sveglierá la mia flussione ai denti.
Se n’è avveduto quel che m’era appresso,
ch’era un guercio d’umor gioviale.
Leandro.   Egli è
Tirapario, uom grazioso; è mio amico.
Orazio.   E m’ha detto all’orecchio: — Amico, voi
l’avete a buon mercato; è poco male
un po’ di fresco di piú; nella guerra
de’ complimenti io ci ho lasciato un occhio.
Era d’inverno e a un lungo pasto vollero
per onorarmi ch’io sedessi da la
parte del fuoco. C’era un po’ di male
giá cominciato ed il calore, aggiunto
quel del vino e dei cibi, in guisa acrebbero
che al fin mi si serrò per sempre, come
vedete, la fenestra. — Si andava
mangiando intanto con molti noiosi
frammessi: «prenda lei, mangi lei,
o vuol di questo? o di quest’altro?» E trenta
altre interrogazioni.
Leandro.   Io mi ricordo
che, alloggiando da certo amico mio,
andato a letto ch’i’ fui, un buon uomo