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150 le cerimonie


mi svegliò per interrogarmi s’io

dormiva bene.
Orazio.   E il voler che si mangi
d’ogni cosa? e di quello che non piace,
replicando ch’è buon, quand’io nol voglio?
E voler che si mangi piú di quello
che la salute o che il piacer comporti?
Leandro.   Strano è per certo che contrarian sempre
al genio di ciascun, talch’egli è forza
rinegar sempre la sua volontá.
Orazio.   E che noia l’andar guardando ognora
quel ch’io mi faccia? «E non le piace adunque
quella vivanda?» Or s’anche non mi piace,
non mi faccian perciò querela. E quando
ho dimandato da bere? Il mio guercio
m’ha detto pian che non bisogna essere
il primo; primo io credea avess’a essere
quel che ha piú sete, e se niuno è primo,
schiaterem tutti. Dimando al mio solito
del vin piccolo e fa cenno il padrone
che mi dian di quel grosso ch’io abborrisco:
bella finezza, ma asserisce poi
che quello è piccolissimo. E quel tedio
d’«ella non mangia, ella non ha mangiato
niente», quando ho mangiato oltre misura?
Leandro.   Questa è solenne clausola.
Orazio.   E a che serve
quel far tanto apparato? e portar roba
per quaranta?
Leandro.   Par che, spendendo molto,
piú onor si faccia a chi s’invita.
Orazio.   Ma
se così è, mi diano un pranso onesto,
e ’l rimanente che pur vonno spendere
me lo diano in danari.
Leandro.   O tu se’ lepido!