Pagina:Maffei, Scipione – Opere drammatiche e poesie varie, 1928 – BEIC 1866557.djvu/238

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ho tante volte inciso, è qui presente?

Se ben cresciuta si di membra e d’anni,
i lineamenti suoi pur raffiguro.
Me in quest’abito barbaro e con questo
bosco sul labro, trasformato tanto
da estranio clima e da disagi e guai,
non fia ch’alcun ravvisar possa mai.
Ma, o ciel, trovarla in cosi duro stato
dirassi dono o crudeltá del fato?

SCENA VI

Elpina e detto.

Et. pina. Deh, come volentier ciò che di noi

esser debba, a costui chieder vorrei !
Morasto.   Giovinetta gentil, di che paventi?
Non isdegnar ch’io teco
favelli alquanto.
Elpina.   II padre mio m’impose
che da soldati io fugga.
Mor asto. Di me non dubitar, che sempre amico
a que’ di Sciro io fui, da che approdando
molt’anni sono a quella spiaggia, io vidi
amore e cortesia regnarvi. Allora
i’ vi conobbi Alceo, conobbi Silvia:
dimmi, son eglin vivi?
Elpina.   Vivi, ma solo al pianto ed al dolore.
Morasto.   Ahi, che si spezza il core.
Elpina.   Poich’ebber giá due figli, or d’ambo priv
hanno in odio la vita.
Morasto.   E come d’ambo?
Elpina.   Osmin, ch’era il maggiore,
vago fanciullo e per comun volere
a la mia suora destinato, a Lemno.