Pagina:Maffei, Scipione – Opere drammatiche e poesie varie, 1928 – BEIC 1866557.djvu/272

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indarno si teme,

e in vano ora freme
lo strepito insan.
Perú ad Eolo ne vengo
c’ha in questo mondo ampio e superbo albergo,
perché a mio senno io voglio
ch’oggi de’ venti suoi freni l’orgoglio.
(Qui precipita la gran porta della grotta ed apparisce la reggia d’Eolo,
lavorata nelle viscere del monte con ricchi ornamenti di natura e d’arte.
Egli si vede neU’ultimo fondo con gran turba di venti, altri d’orrido,
altri di grazioso aspetto. Segue bizzarra sinfonia, e fra tanto egli viene
avanzando col suo accompagnamento.)
Giunone.   Amico nume, che se ben sotterra
incavernato stai,
in mare, in aria, in terra
sommo poter pur hai,
talché in questi tre regni
dir si può che tu regni,
da l’eterea magione
a te sen vieti Giunone.
Eolo.   O del supremo Giove
consorte eccelsa, o arbitra del mondo,
qual mai cagion ti muove
a scender dalle stelle in questo fondo?
Leggér per certo non sará disio,
ché qui non ti vid’io per fin da quando
fiero venisti ad intimar comando
contro l’Iliaca gente a te rubella
di scatenar procella.
Giunone.   Mente diversa or qua mi tragge; stuolo
sacro al mio nome solo ed a me caro
di feroce corsaro i ceppi sciolse,
e in vèr la patria volse ardita prora.
Tu puoi far che in brev’ora i desiati
porti afferri, se a’ fiati procellosi