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canto terzo 369


la dèa del primo sposo e de la patria
170e de’ suoi genitor. Di quella stanza
in bianchi lini avvolta usci tantosto
lagrimando; non sola, ché seguirla
due damigelle, Etra di Pitteo figlia
e Ciimene occhiampia. A le Scee porte
175giunser ben presto. Priamo con Pantòo
Timete, Lampo, Clizio e il marziale
Icetaone, Ucalego ed Antenore
savi ambedue sedeano a le Scee porte
come vecchi del popolo, lasciato
180per l’etá grave il guerreggiar; ma in vece
arringavan con lode, somiglianti
a cicale che in selva sopra i rami
stanno e soave mandan fuori la voce.
Cosí sedeano de’ troiani i capi
185ne la torre, ed allor che ad essi videro
Elena approssimarsi, con sommessa
voce tra lor cotai disser parole:
— Sdegnar non denno in ver troiani e greci
per tal donna soffrir cotanti affanni;
190a le immortali dèe somiglia in volto.
Ma benché tal pur sia, sen vada e a noi
e ai figli nostri un di l’eccidio estremo
non arrechi. — li re Priamo allor chiamolla:
— Vieni, diletta figlia, a me da presso
195t’assidi e mira il primo tuo consorte
e i congiunti e gli amici; di tai mali
non tu mi sei cagion, gli dèi di tutto
autori sono, essi l’infausta guerra
mandaronmi. Or di quel si grande il nome
200dimmi: chi è quel greco ampio ed eccelso?
Certo altri v’ha di piú ampia persona,
ma un così ben fatto e d’onor degno
non vidi mai; supremo re rassembra. —
Elena allora, infra le donne diva,