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32 la merope


Polifonte.   Tu sospetti a ragion; ma io no ’l credo

ai detti suoi, al suo dolore il credo.
Videla il servo lacerata il crine,
di pianto il sen, piena di morte il volto,
videla sorger furibonda e a un ferro
dar di piglio, impedita a viva forza
dall’aprirsi nel seno ampia ferita.
Or freme ed urla, or d’una in altra stanza
sen va gemendo e chiama il figlio a nome;
qual rondine talor che ritornando
non vede i parti e trova rotto il nido,
ch’alto stridendo gli s’aggira intorno
e parte e riede e di querele assorda.
Adrasto.   Ma come mai ciò rilevò?
Polifonte.   Ben chiaro
ciò non comprese il servo; ma assicura
che a dubitar loco non resta.
Adrasto.   Or dunque
felice te, per cui tutto combatte,
e in cui favor s’è armato il caso ancora.
Non sol di tôrre il tuo rival dal mondo,
ma s’è presa anche cura la fortuna
di risparmiare a te il delitto.
Polifonte.   Ho imposto
che si disciolga l’uccisor, sol ch’egli
del palagio non esca; or vo pensando
se il giá prefisso a me troppo noioso
imeneo tralasciar si possa. Il volgo
non ha piú che sperar, né ci ha in Messene
chi regger voglia temerarie imprese.
D’altra parte non è sprezzabil rischio
l’avvicinarsi quella furia; imbelle
domestico nimico assai piú temo
che armato in campo, e tu ben sai che offesa
femmina non perdona.
Adrasto.   Anzi ora è il tempo