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canto quarto 381


25a’ troiani: Minerva stette cheta,
né parlò, grave l’occupava sdegno
verso il suo genitor; ma non contenne
Giuno l’ira nel petto e cosí disse:
     — Terribil Giove, e che dicesti? Vana
30e inutil dunque render vuoi cotanta
mia fatica e sudor? I miei corsieri
genti per ragunar stancai. Fa pure
a Priamo e a’ figli suoi danno, ché al certo
non giá mai tutti approveranno i numi. —
     35Sospirò Giove nubipadre e disse:
— Diva, in che mai Priamo e di Priamo i figli
t’offesero, ché ognor la benfondata
Troia cerchi atterrar? Se dentro i muri
entrata, lui co’ figli e gli altri ancora
40troiani vivi divorassi, l’ira
s’appagherebbe al fin. Fa ciò che vuoi,
accioché nimistá per tal contrasto
fra noi non duri; ma quel ch’or ti dico
ritieni in mente: quando anch’io volessi
45cittá in cui gente a te diletta alberghi
distruggere, al mio sdegno non t’opporre,
da che ancor io, se ben contra mia voglia,
pur ti cessi. Fra quante sotto il sole
e sotto il ciel stellato da’ viventi
50frequentate cittá tenuta in pregio
sopra tutte da me era Troia e Priamo
e il benarmato suo popol, che sempre
vedi abbondar su l’ara mia convito
e libazioni, onor da noi bramato. —
     55Ripigliò allor la venerabil Giuno:
— Tue sono le oltre modo a me dilette
cittá Micene da le larghe vie
ed Argo e Sparta; coteste, se in via
vengonti mai, distruggi; io non m’oppongo,
60né contrasto; se ancor volessi oppormi