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atto quarto 49


SCENA IV

Euriso e Polidoro.

Euriso.   Eccoti, o peregrin, qual tu chiedesti

nel palagio real; per queste porte
alle stanze si passa, ove chi regge
suol far dimora; penetrar piú oltre
a te non lice. Ma perché dagli occhi
cader ti veggo in su le guance il pianto?
Polidoro.   O figlio, se sapessi quante dolci
memorie in seno risvegliar mi sento!
Io vidi un tempo, io vidi questa corte
e riconosco il loco: anche in quel tempo
cosí soleasi illuminar la notte.
Ma allor non era io giá qual or mi vedi,
fioria la guancia e per vigore, o fosse
nel corso o in aspra lotta, al piú robusto,
al piú leggèr non la cedea. Ma il tempo
passa, e non torna. Or io della benigna
scorta che fatta m’hai, quante piú posso
grazie ti rendo.
Euriso.   Assai piú volentieri
nelle mie case io t’averei condotto,
perché quivi le membra tue, cui rende
l’etá piú del cammino afflitte e lasse,
ristorar si potessero.
Polidoro.   Io ti priego
di qui lasciarmi. E non vuoi tu ch’io sappia
di chi mi fu così cortese il nome?
Euriso.   Euriso di Nicandro.
Polidoro.   Di Nicandro
ch’abitava sul colle e che sì caro
era al buon re Cresfonte?