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54 la merope


tutto io scopria saziati ho gli occhi. Or quale

impeto sfortunato e qual destino
t’accecava la mente?
Merope.   O caro servo,
empia faceami la pietá, del figlio
il figlio stesso io l’uccisor credea.
S’accoppiár cento cose ad ingannarmi,
e l’anel, ch’io ti diedi, ad un garzone
da lui trafitto altri asserí per certo
ch’ei rapito l’avesse.
Polidoro.   Ei da me l’ebbe,
benché con ordin d’occultarlo.
Merope.   O stelle,
e sará ver che il sospirato tanto,
che il sí bramato mio Cresfonte al fine
sia in Messene? E ch’io sia la piú felice
donna del mondo?
Polidoro.   Tu di tenerezza
fai lagrimar me ancora. O sacri nodi
del sangue e di natura! Quanto forti
voi siete e quanto il nostro core è frale!
Merope.   O cielo, ed io strinsi due volte il ferro
ed il colpo librai! Viscere mie!
Due volte, Polidor, son oggi stata
in questo rischio. Nel pensarlo tutta
mi raccapriccio e mi si strugge il core.
Ismene.   Con cosí strani avvenimenti uom forse
non vide mai favoleggiar le scene.
Merope.   Lode ai pietosi, eterni dèi che tanta
atrocitá non consentiro, e lode,
Cintia triforme, a te che tutto or miri
dal bel carro spargendo argenteo lume.
Ma dov’è’l figlio mio? Da questa parte
fuggendo corse; ov’e’ si sia, trovarlo
saprò ben io. Mia cara Ismene, i’ credo
che morrò di dolcezza in abbracciarlo,