Pagina:Maineri - L'adolescenza, Milano, 1876.djvu/61

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La via principia a salire seguendo sempre le sinuosità del monte lungo il fiume, ora ombreggiata da castagni, ora lungo ciglioni coltivati. Arrivammo ad un borghetto di case detto Le Volte; di lì al paese dell’Orsigna c’è un venti minuti di strada, la quale per lungo tratto diventa un viottolo sopra un terreno ripido e facile a smottare; d’inverno è impraticabile, e allora bisogna risalire molto più in su la montagna.

Usciti da quel mucchio di casupole, ci giunse all’orecchio, lontana ma chiara, una voce robusta di uomo che cantava. La valle dove eravamo, fatta più stretta, e le montagne quasi più alte impedivano che il canto si spandesse e diminuisse di forza e di effetto, mentre il silenzio dei boschi rendevalo più armonioso, e distinto.

Ci fermammo ad ascoltare; fino allora nessuno s’era fatto vivo e ci potevamo credere in terra di morti. Il canto veniva dall’altra parte del fiume e precisamente da una carbonaia, quella che avevamo scorta dal ponte: era una poesia semplice e schietta, nata e cresciuta fra le selve, cantata sur un’aria un po’ monotona, ma non priva di bellezza per una certa melanconia che la governava. Chiamano tali canzoni rispetti e per lo più è il canto degl’innamorati, canto che sgorga come limpida sorgente dalla ricca vena della poesia popolare, la quale senza