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lettera di riccardo. 101


il cuore — una grave cura — Sono dieci anni, che più non vidi la nativa mia Mantova; dieci anni che non m’è dato stampare un bacio sul volto della povera madre, e dell’amata e gentile sorella!... Quando le lasciai per varcare il Ticino, cercando asilo in Piemonte, ero baldo e fidente nelle mie forze di venti anni; mia sorella tutta gioconda della prima adolescenza, già bella e serena come un angelo. La madre, poverina! gemeva di vedovanza immatura, non essendo ancora passati tre mesi, che mio padre aveva lasciato la vita fra’ ceppi nelle segrete di Josephstadt: quant'amarezza in queste rimembranze! — Ci siamo desti, ma non abbiamo compita l'opera: chi ce lo avrebbe detto? Pazienza.... or mi sento mancare; ma in questo momento ho anche un’ultima preghiera a Dio per la liberazione di Venezia e di Roma....

— Una volta sotto le mura di questa ho dimenticato i lutti della famiglia e del paese: era giusta ragione d’orgoglio; astergemmo due macchie, Custoza e Novara,... e di più si sconfiggevano i Francesi, repubblicani contro Roma repubblicana.

— A San Pancrazio li ho visti fuggire cotesti guerrieri del medio evo, consolazione ineffabile della vita, soldato di Garibaldi, primo dei valorosi; e a Velletri il Borbone