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l'ossario. 89

un terzo che, vinto da spasimo atroce, bestemmi oscenamente. È una vista pietosa ad una e terribile. — Labili monumenti della nostra frale natura, che come noi aveste vita, idee, affetti, piaceri e dolori, dove sono iti gli spiriti vostri?

Io aveva lo sguardo fisso a que’ teschi, e non me ne potevo staccare; e pensavo: — Siamo noi i vivi o il sono dessi? Dove sono, come sono, perchè sono? Mi veggono, mi ascoltano, mi comprendono?

Che cos’è la vita?

Che cos’è la morte?

Ma nessuno mi dava risposta, e tutto era silenzio intorno a me; prossima, mia sorella inginocchiatasi, pregava. — Sempre fisando que’ resti, la fantasia mi si accendeva, e qui parvemi che avessero vita: osservando, ecco un tale agitar le ganascie e profferire in suono secco come canna spezzata:

— Uno, cinque, dieci, cento, mille anni; e poi?

— Riso, gioja, ebbrezza, felicità, obblio; — e poi?

— Oro, potere, scienza, onori; — e poi?

Pulvis et umbra!

La mia vita era tutta negli occhi; guardavo: ed ecco un altro:

— Io tenni prigione l’anima d’un avaro, ah! ah! ah!