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Pagina:Malombra.djvu/153

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Aspettò quasi un’ora e mezzo; poi mandò Fanny a vedere se il conte fosse in biblioteca. La risposta fu che ve l’aspettava da mezz’ora.

Ella entrò nella biblioteca a passo lento, con l’aria di chi pensa al mondo della luna, fece un largo giro verso la porta che mette nel giardino e venne a lasciarsi cadere sopra una sedia a bracciuoli, di fronte al nemico.

— Vi avverto prima di tutto — cominciò il conte — che coloro i quali mi fanno l’onore di abitare in casa mia, mi debbono di essere civili. Non è una pigione troppo forte e da oggi in poi me la pagherete, perchè io ho la debolezza di esigere, presto o tardi, i miei crediti. Se non conoscete le monete potrò darvi qualche piccola lezione.

Gli occhi di Marina scintillarono, le sue labbra si apersero.

— Non rispondete — tuonò il conte.

Ella balzò in piedi. Voleva ribellarsi, parlare, e non poteva. Forse troppe parole le facevan ressa alla gola; forse nel momento di prorompere temè tradire il segreto di cui sentiva confusamente che doveva riserbarsi per un giorno premeditato, per un’ora invariabile, prefissa dalla sua volontà e dal destino.

— Non rispondete — ripetè il conte. — Voi odiate me e la mia casa, ma non vi tornerebbe comodo, io credo, essere pregata di partire subito. Non rispondete.

Marina ricadde a sedere in silenzio.

— Non potete supporre che io ignori l’oltraggio fatto da voi al mio amico Silla, il quale è andato via per causa vostra, e non potete supporre che, conoscendolo, io vi sia rimasto indifferente. Non so se la parola umana possa esprimere tutto quello che il vostro atto m’ispira. Bene, io non ricercherò i motivi molto oscuri della condotta che voi tenete. Certo non conviene nè a voi nè a me di convivere a lungo. V’è una frase enormemente stupida: i legami del sangue. Io non credo che il vostro