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miglia, nulla celandogli nè del bene nè del male; gli aveva tratteggiata la vita seria e tranquilla, ma signorile, che offriva a Edith. Steinegge sentiva che avrebbe perduto per lo meno gran parte di sua figlia; n’era accorato e si sdegnava in pari tempo seco stesso di questo egoismo invincibile. S’era fatto quindi uno scrupolo di magnificare a Edith l’uomo e le sue parole. Ma egli era troppo commosso per potersi spiegare a dovere. Le aveva impasticciato il discorso di Ferrieri, mettendone a fascio il capo e la coda, lardellandolo di esclamazioni:

— Un uomo nobile! Un uomo grande! — confondendosi, ripigliandosi ad ogni momento.

Quand’ebbe finito, Edith venne a posargli le mani sulle spalle.

— Che mi consigli, papà? — diss’ella.

Il povero Steinegge non fu in grado di rispondere a parole, ma fece un gesto energico, un’affermazione disperata con il capo e con le braccia. Finalmente, a furia di volontà, potè articolare queste due parole:

— Grande fortuna.

Edith gli posò il capo sopra una spalla e parlò; le cose che aveva in cuore non osava metterle fuori mostrando il viso.

— Sai? C’è qualcuno che mi dice: non ha più il suo paese, non ha più vecchi amici, non ha più la sua giovinezza, ma io sono tranquilla perchè tu sei al posto mio, presso di lui, e gli darai tutto il cuore, tutta la tua vita.

— Oh, no, no, no! — interruppe Steinegge.

— Mi dice così, papà. E poi soggiunge: non ti dividerai ora da tuo padre, se...

Qui Edith abbassò la voce:

— ...se speri che siamo tutti uniti un giorno, meglio, oh molto meglio che negli anni tristi in cui il papà ha tanto faticato, tanto sofferto per me, per te stessa.

Steinegge chiuse le braccia intorno a sua figlia, ripetendo: