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Pagina:Malombra.djvu/284

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conte. Dopo Edith mi legge Schiller e Uhland, oppure mi dice poesie moderne che io non conosco; poesie di Freiligrat, di Geibel, di... di...

— Di Heine.

— No, mia figlia non legge questo Heinrich Heine. Lo ho conosciuto questo uomo a Parigi. Non è stato buon tedesco. Se voi veniste qualche volta di sera, io vi tradurrei queste poesie e vi darei una tazza di thè, perchè Edith mi fa il thè ogni sera.

— Voi — disse Silla sorridendo — voi pigliate il thè?

Steinegge si pose a ridere d’un riso muto, contorcendosi, gesticolando.

— Ah, voi siete un maligno uomo. Capisco, capisco. È come se der König in Thule, il Re in Tule, voi sapete? si mettesse a bere decotto, non è vero? Io bevo adesso due bicchieri a pranzo e non altro.

— È vostra figlia che lo desidera.

— No, no, voglio io. Mia figlia mi pregava di prender vino la sera, e mi prega ancora adesso, ma io ho visto una volta per i suoi occhi il suo cuore e io prendo thè, caro amico.

— V’invidio — disse Silla e prese il cappello per andarsene. Steinegge lo trattenne.

— Aspettate, venite a passeggio con noi.

Silla esitò a rispondere.

— Oh, venite, venite!

Steinegge andò a battere alla porta di Edith e la pregò di uscire un momento.

Edith venne tosto e porse affabilmente la mano a Silla.

— Buon giorno — diss’ella. — Che lezione lunga!

Era graziosa nel suo abito nero, semplicissimo, corto ma non troppo, con un mazzolino di viole alla cintura, il suo medaglione d’oro e onice sul petto e una stretta golettina bianca che le rifletteva sul collo un candore diffuso, trasparente. Le ricche trecce eran raccolte sopra la nuca. Nel viso delicato, leggermente roseo, la bocca