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Egli parlava come uno che non sa se deve ridere o piangere.

— Ho parlato a Dio, l’ho pregato di non mettersi fra te e me, di non togliermi il tuo amore.

Edith gli strinse convulsamente la mano, serrando le labbra, sorridendogli con gli occhi umidi.

— E tu sei poi sempre stata così tenera, così buona con me che mi hai fatto il paradiso intorno e io ho inteso che Dio mi aveva ascoltato. Questo mi ha commosso perchè sapevo di non meritar niente. Oh no, credi. Mi ha commosso, dunque, di vedere che Dio ti permetteva di essere tanto amorosa con me. Ero felice, ma non sempre. Quando noi andavamo in chiesa insieme, io pregavo, ringraziavo Dio, vicino a te; ma pure vi era qualche cosa nel mio cuore, qualche cosa di freddo e di penoso, come se io fossi fuori della porta e tu avanti a tutti, presso l’altare. Insomma mi pareva esser tanto lontano da te. Mi odiavo in quel momento ed ero così stupido di amar meno anche te. Quando poi...

Esitò un istante, quindi accostò la bocca all’orecchio di Edith, le sussurrò parole cui ella non rispose e ripigliò forte:

— Quanto soffrivo! Una cosa che mi ripugnava tanto! Forse per le memorie irritanti ch’erano nel mio cuore, forse perchè ero geloso di quell’uomo nascosto a cui tu confidavi i tuoi pensieri. Non solo, geloso; pauroso anche. Sentivo che anche restando invisibile, sconosciuto, poteva ferirmi, togliermi un poco della tua stima, del tuo amore. Sai che qualche notte non ho dormito per questo? Dopo ti vedevo sempre uguale con me, dimenticavo, tornavo ilare. Ieri, trovandomi ancora con don Innocenzo, stando nella sua chiesa, ho sentito quanto lunga strada avevo fatto in pochi mesi, quasi senza saperlo. Ho avuto l’impressione, come di essere sulla porta aperta di un paese sospirato e non poter entrare. Adesso... senti. Edith, figlia mia.

Ella, silenziosa, piegò il viso verso di lui, stringendogli sempre una mano fra le sue.