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anche i toni acuti dei cristalli e degli argenti. Sul davanti e nel mezzo, la giardiniera dorata di donna Giulia posava sul fondo scuro del tappeto una tenera nudità di giacinti delicati, spogli d’ogni verde, stretti nel baglior del metallo, che tentavano, come un dolce odoroso, il palato, promettendo squisitezze voluttuose, penetranti nel sangue.

— Ai signori e ai matti obbedisce anche il vento — disse Fanny che aveva pensato veder tutto l’apparecchio sossopra in un attimo.

Dopo le quattro e mezzo il commendatore e Silla entrarono in loggia dalla biblioteca; quasi contemporaneamente vi entrò dall’altra parte il medico. Tutti e tre si fermarono attoniti, considerando l’ordine elegante della scena, la pompa dei colori che spiccavano sul tappeto oscuro.

— Tutto lei, capite!— disse il Vezza, ancora più sgomentato che sorpreso.

Era lei, sì, che aveva disposto tutto e vi si vedeva l’immagine sua; un cuor nero, una fantasia accesa, una intelligenza scossa ma non caduta.

— Io torno in biblioteca— disse Silla,— finisco quegl’indirizzi, poi me ne vado dalla scaletta.

— No, no, La prego!— esclamò il Vezza.— Se assolutamente non vuol pranzare con noi, almeno ci stia vicino. Io le assicuro che ho la febbre addosso. Avremo fatto male, dottore, a essere condiscendenti? Ho dovuto far avvertire i domestici, sa, ch’era ordine Suo di accontentare donna Marina. Per carità, Silla, stia vicino, stia lì nel salotto, almeno. Faccia questo favore a me.

— Bene — rispose Silla — mi porterò là da lavorare; ma si ricordi, appena finito il pranzo vado via.

Il dottore era agitatissimo, si giustificava del consiglio che aveva dato, adduceva una quantità di ragioni buone e cattive. Si capiva che dubitava egli stesso di avere sbagliato.

— Non sapevo poi tutto, stamattina — diss’egli — non avevo parlato con la Giovanna.