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e su quello, aperse le finestre e disse tranquillamente che voleva una camera sul lago.

Ella amava le onde e la tempesta, nè le fecero paura la fronte corrugata e gli occhi lampeggianti del conte; tenne fermo freddamente contro le osservazioni, sempre più acri ch’egli le venne facendo e che troncò a grande sorpresa di lei, con un risoluto: sta bene.

Dato a bassa voce un ordine a Giovanna, la sua vecchia governante, il conte uscì. Allora la governante si pose in cammino, con il lume in mano, seguita da un lugubre corteo di servi e di bauli. Marina volle venir ultima con Fanny, la sua giovane cameriera. Attraversarono tutto il palazzo da capo a fondo. Spesso, nel passare da una camera a un’altra Marina si fermava a guardar indietro nel buio, costringeva la intera carovana a sostare. Tutte le faccie si voltavano a lei, quella della vecchia governante seria seria, quelle dei servi tra torbide e sgomente.

Quando il convoglio entrò nella loggia che congiunge le due ali del palazzo, Marina affacciossi alla balaustrata verso il lago, diede un’occhiata alla scura costa che fronteggia l’ala di ponente, aggrottò le ciglia e disse alla governante:

— Dove mi porti?

Immediatamente gli uomini posero a terra i bauli. La vecchia posò il lume sopra un baule, s’accostò a Marina, giunse le mani e, crollando il capo chino sulla spalla destra, sussurrò con accento di commiserazione profonda:

— In un gran brutto sito, cara la mia bella signorina.

— Allora non ci vado.

— Sarebbe ben meglio — interruppe uno dei portatori.

— Oh sì, voialtri — gli rispose la vecchia in aria severa — e il signor padrone? Dio ce ne guardi.

— Ma insomma — esclamò Marina con impazienza — è un granaio, è un armadio, è un pozzo questa camera?