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con religioso silenzio. In tutto il cortile non si moveva fronda. Era forse la storia della donna svenuta là presso, ma non riusciva possibile a orecchio umano intenderne sillaba, nè sapere, perciò, se la donna vi fosse chiamata Marina di Malombra o Cecilia Varrega.

Conseguenza di quella notte fu per Marina una violenta febbre cerebrale di cui nessuno potè indovinare la causa. È quasi impossibile che l’inferma non si sia fatta sfuggire durante il delirio qualche allusione al fatto straordinario onde avea riportato impressioni sì gravi; ma quelle allusioni dovettero essere assai rade e vaghe, perchè non fecero sospettare di nulla. La volontà gagliarda di Marina, benchè sconnessa e rotta dal male, lavorava ancora per un impulso ricevuto prima. Essa voleva tacere. La presenza del conte Cesare era il più terribile cimento per lei. Quando vedeva il conte, e anche solo all’udirne i passi pel corridoio vicino, l’ammalata diventava furibonda, urlava, smaniava senza articolar parola; per modo che, dopo i primi giorni di malattia, le visite dello zio cessarono. Questa ripugnanza fu molto commentata dai domestici e dalle comari pettegole di R... Si fabbricarono parecchie novelle assurde. La interpretazione più creduta fu che il conte voleva sposare Marina, contro la inclinazione di lei, e che la ragazza n’era impazzita. Il chiarissimo professore B..., chiamato in aiuto del povero «pittòr» che non sapeva più in qual mondo si fosse, credette di dover tastare il conte su questo delicato argomento dell’antipatia violenta che l’ammalata gli dimostrava, e lo fece con moltissimo garbo, mettendo avanti l’interesse medico della questione. La risposta del conte non fu altrettanto diplomatica.

— Mia nipote — diss’egli — mi deve forse qualche beneficio; non però tanto grande da odiarmi per questo. Ella è una giovane molto intelligente e io sono un vecchio quasi rimbambito; ho motivo di credere, che siamo, in