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sul tuo capo facciano cadere una pioggia di fiori anche gli alberi della foresta; che intorno a te Madera divenga un paradiso di armonia, di profumi e di dolcezza e che in quel paradiso tu abbi a serbare un posticino per il tuo William innamorato.

emma a william.

Madera, 3 ottobre 18...

Già da parecchi giorni, mio William, io mi sentiva languida e oppressa: ogni movimento mi dava pena e l’ozio non mi riposava. — Passava le ore alla mia finestra, quasi sdraiata sul seggiolone, e leggeva e rileggeva le tue lettere; mia primissima gioia quando sono lieta, mio unico conforto quando sono triste. Fra l’una e l’altra lettera guardava fisso il mare, questo eterno compagno della meditazione, e il mio occhio per lente oscillazioni, passava senza saperlo dalla scena della vita presente e vicina all’ultima linea sfumata e incerta dell’avvenire. Prima il pianto solcato dalle bianche vele, rotto dai remi rumorosi, increspato dalle mille onde che io poteva distinguere e numerare: la vita in azione col suo chiasso, coi suoi mille movimenti, coi suoi contorni netti e recisi. Più in là il mare era azzurro e senza rumori: una vela lontana si perdeva in quell’orizzonte più sereno, e pareva un’ala di uccello marino. Là era la vita del pensiero, che attinge ancora la lena dell’azione, ma che già si solleva nei campi dell’infinito; non più confini precisi, non più chiasso; ma il fluido eterno che mai non posa e sempre si muove. E poi e poi giù nel fondo l’occhio faceva ancora un passo e si trovava di nuovo in un mare grigio che si perdeva fra le nebbie dell’orizzonte: là nè chiasso che distrae, nè il sereno che riposa od eleva, ma un quadro incerto e sconfinato, ma l’infinito deserto del mistero, entro cui l’uomo si smarrisce e si confonde. Era in quella parte del quadro che il mio pensiero triste e vagabondo amava meglio perdersi e divagare. Ora la linea bigia rimaneva immota, ed ora, sollevandosi lenta lenta in fiocchi di fumo, pa-