Pagina:Mantegazza - Un giorno a Madera, 1910.djvu/13

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l’inglese si chiamava Willam B... Coll’ingenuità di un fanciullo io credeva con questo di avere scoperto gran cosa. Del resto, nè alla colazione, nè al pranzo, nè nelle lunghe ore di noja marina che ravvicinano tutti i viaggiatori e ne fanno una sola famiglia, io non aveva potuto appiccar discorso con William. Non fuggiva i passaggieri, ma non li cercava, e rispondeva con tanta distrazione a tutte le domande, che davvero avrebbe scoraggiato il più villano e il più sguaiato degli importuni. Sorrideva, sorrideva sempre come fanno gli uomini felici; ma faceva gelare sulle labbra il discorso.

Spesso aveva un sigaro fra le labbra, ma non fumava; spesso aveva un libro fra le mani, ma non leggeva, egli era solo, tutto solo, tutto immerso nel bagno voluttuoso d’una felicità infinita.

Senza merito mio il caso mi diede in mano la chiave per penetrare in quella fortezza.

Eravamo giunti a Lisbona il 14 giugno e la sera stessa ne eravamo partiti. La mattina del 15 io mi alzai per tempissimo, e salii sul cassero per respirare l’aria fresca del mattino. William era già in piedi, e stava passeggiando colle sue mani in tasca, io sentii subito il bisogno di mettermi a camminare dalla parte opposta alla sua, volendo rispettare quella sua felice solitudine; ma io intanto lo osservava, dirò anzi lo andava studiando. Ad un tratto, lo vidi fare un gesto energico come di chi piglia una sùbita e forte risoluzione, e, accostatosi al timoniere, gli indirizzò la parola.

Allora dimenticai la mia delicatezza, dimenticai il santo rispetto che ho sempre sentito gagliardo per la libertà altrui, e quasi fossi giunto anch’io involontariamente accanto al timone, stetti ad ascoltare il dialogo di quei due uomini nati e cresciuti così diversamente, e che in quel momento si raccostavano.

— Voi dite dunque, timoniere, che fra due giorni noi saremo a Madera?

— Sì, mio signore, purchè continui il mare ad essere tranquillo come sta ora.

— Dunque, fra quarantott’ore a Madera, disse ad