Pagina:Mantegazza - Un giorno a Madera, 1910.djvu/67

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non potesse essere che la pura verità e che quell’uomo non dovesse conoscere il dubbio neppur di nome. Se il Cristo disse ad un paralitico: prenditi il tuo letto e portalo a casa tua, deve averlo guardato cogli stessi occhi coi quali il dott. B... mi guardava; deve avergli parlato collo stesso accento con cui egli mi dirigeva le sue parole simile alla folgore e al tuono.

Per risparmiarmi l’inutile tortura dell’esame del mio povero torace, gli esposi brevemente come io fossi la figlia di un padre morto di tisi, come avessi perduti i miei fratelli della stessa malattia, e io stessa andassi soggetta a bronchiti ostinate e a sputo sanguigno. Per quanto io mi studiassi di non dire che le parole necessarie per esser capita, egli pareva conoscerle prima che io le avessi pronunciate, e mi interrompeva ad ogni momento con dei hum, hum, hum e coi segni di di una viva impazienza.

Dicendogli di non voler essere esaminata, perchè già esplorata e torturata da molte esplorazioni mediche, gli porsi quella sentenza che fu sottoscritta da parecchi medici chiamati una volta in consulto da mio padre; sentenza che io ormai ho imparato a memoria, senza capirla...

Tubercolosi ereditaria, mutezza della regione sottoclavicolare destra, mormorio vescicolare molto debole in tutto il torace; ma più a destra e in alto, aspirazione prolungata, aspra ed interrotta. Aderenze pleuritiche dai due lati del torace; organi dirigenti in ottime condizioni.

Porgendogli quello scritto misterioso e crudele, come una sentenza di morte scritta in una lingua straniera, esprimeva al dott. B... il desiderio di sapere, se col cambiamento di clima io avrei potuto migliorare la mia salute in modo da scongiurare affatto ogni pericolo per l’avvenire... e qui incominciava a farmi rossa rossa, perchè doveva pronunciare le parole più difficili, quelle appunto per le quali tu mi avevi imposto di consultare i medici più illustri di Londra; e ti assicuro che vi sarei riuscita, se il corpulento dottore, senza capire nè il mio rossore, nè la mia esitazione,