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138 il manzoni a brusuglio.

desimo, e, anzi che scusarsene a chi gli domandava schiarimento di qualche passo ambiguo, rispondeva su per giù come a Luigi Frati, il quale aveva assunta l’apologia degl’Inni Sacri contro il sacerdote Salvagnoli-Marchetti, autore di un opuscolo che li bistrattava: «Si contenti ch’io non dica nulla sul passo, dove Ella incontra difficoltà, e che, del rimanente, non porta il prezzo che Ella se ne occupi, appunto perchè v’incontra difficoltà; giacchè le parole hanno a dire da sè, a prima giunta, quel che voglion dire; e quelle che hanno bisogno d’interpretazione, non la meritano.»1 .

L’Inno sacro del Manzoni è assai dotto, grave, solenne, elevato, quasi epico; è evidente che, dopo essersi immerso nella lettura della Sacra Scrittura per derivarne immagini, e tradurle in un linguaggio più moderno, il Manzoni fece quanto poteva per inalzarle. Ma in questo sforzo egli tolse un po’ di naturalezza e di evidenza al sentimento; volle fare un commento poetico, anzi un compendio della leggenda biblica, e in questo lavoro tutto sintetico arrivò talvolta ad interpretarla in modo grandioso, ma non mai, o quasi

  1. Il pubblico italiano non s’accorse degl’Inni Sacri, se non dopo pubblicato il Cinque Maggio. Quando, nel 1817, Carlo Mazzoleni indirizzava per essi complimenti al Manzoni, questi gli rispondeva: «Io non so quali grazie rendervi per le lodi, colle quali mi fate animo a proseguire questi lavori. Se io non dovessi attribuirle in gran parte alla indulgente vostra amicizia, mi leverei davvero in superbia; ma ad ogni modo l’indifferenza del pubblico mi farà stare a segno.» Quando il Manzoni era forse ancora contento degl’Inni Sacri usciti di fresco da un parto molto laborioso, il pubblico non se ne volle accorgere; quando il pubblico se ne accorse e se ne contentò, chi non era più contento degl’Inni Sacri era il Manzoni stesso.