Pagina:Marinetti - La cucina futurista, 1932.djvu/18

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mavano le cucine in fantastici laboratori dove le casseruole enormi rovesciate a terra si mutavano in piedestalli grandiosi predisposti per una statuaria imprevedibile.

— «al lavoro — disse Marinetti — o aeropittori e aeroscultori. Le mie aeropoesie ventileranno i vostri cervelli come eliche frullanti.»

— Fillìa improvvisò un aerocomplesso plastico di farina di castagne, uova, latte, cacao dove piani atmosferi notturni erano intersecati da piani di grigiori d’alba con spirali di vento espressi mediante tubature di pasta frolla.

Enrico Prampolini che aveva gelosamente circondato di paraventi il suo lavoro creativo, alla prima alba filtrante all’orizzonte lucente dalla finestra aperta, gridò:

— «la tengo finalmente fra le braccia ed è bella, affascinante, carnale, tale da guarire qualsiasi desiderio di suicidio. Venite ad ammirarla.» —

Rovesciò i paraventi e apparve il misterioso soave tremendo complesso plastico di lei. Mangiabile. Gustosa era infatti a tal punto la carne della curva che significava la sintesi di tutti i movimenti dell’anca. E luceva di una sua zuccherina peluria eccitando lo smalto dei denti nelle bocche attente dei due compagni. Sopra, le sferiche dolcezze di tutte le ideali mammelle parlavano a distanza geometrica alla cupola del ventre sostenuta dalle linee-forze delle cosce dinamiche.


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