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108 il palagio d’amore


23.In una parte del superbo e bello
uscio, ch’al vivo ogni figura esprime,
scolpì Vulcan col suo divin scarpello
l’alma inventrice de le biade prime.
Fumar Etna si vede, e Mongibello
fiamme eruttar da le nevose cime.
Ben sepp’egli imitar del patrio loco
con rubini e carbonchi il fumo e ’l foco!

24.Vedesi là per la campagna aprica,
tutta vestita di novella messe,
biondeggiar d’oro ed ondeggiar la spica,
sparsa pur or da le sue mani istesse.
«Scoglio gentil» par che tacendo dica
sì ben le voci ha nel silenzio espresse
«siami fido custode il tuo terreno
del caro pegno ch’io ti lascio in seno».

25.Ecco ne vien con le compagne elette
la Vergin fuor de la materna soglia,
e per ordir monili e ghirlandette
de’ suoi fregi più vaghi il prato spoglia.
Già par che i fior tra le ridenti erbette
apra con gli occhi, e con le man raccoglia.
Ritrar non sapria meglio Apelle o Zeusi
la bella figlia de la Dea d’Eleusi.

26.Ed ecco aperte le sulfuree grotte,
mentre ch’ella compon gigli e vïole,
dal fondo fuor de la Tartarea notte
il Rettor de le Furie uscire al Sole.
Fuggon le Ninfe, e con querele rotte
la rapita Proserpina si dole.
Spuman tepido sangue, e sbuffan neri
aliti di caligine i destrieri.