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156 l’innamoramento


15.Non lunge è un colle, che l’ombrosa fronte
di mirti intreccia, e ’l crin di rose infiora,
e del Nilo fecondo il chiuso fonte
vagheggia, esposto a la nascente Aurora.
E quando rosseggiar fa l’Orizonte
l’aureo carro del Sol, che i poggi indora,
sente a l’aprir del mattutino Eoo
d’Eto i primi nitriti, e di Piroo.

16.A piè di questo i suoi giardini ha Clori,
e qui la Dea d’Amor sovente riede
a còrre i molli e rugiadosi odori
per far tepidi bagni al bianco piede.
Ed ecco sovra un talamo di fiori,
qui giunta a caso, il Giovinetto vede.
Ma mentr’ella in Adon rivolge il guardo,
Amor crudele in lei rivolge il dardo.

17.Per placar quel feroce animo irato
Venere sua, ch’al par degli occhi l’ama,
con l’ésca in man d’un picciol globo aurato
gonfio di vento, a sé da lunge il chiama.
Tosto che vede il vagabondo alato
la palla d’or, di possederla brama,
per poter poi con essa in chiuso loco
sfidar Mercurio e Ganimede a gioco.

18.Movesi ratto, e ’n spazïosa rota
gli omeri dibattendo, ondeggia ed erra.
Solca il ciel con le piume, in aria nuota,
or l’apre e spiega, or le ripiega e serra.
Or il suol rade, or vèr la pura e vota
più alta regïon s’erge da terra.
Alfin colà, dove Ciprigna stassi
china rapido l’ali, e drizza i passi.