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canto terzo 157


19.Ella il richiama, egli rifugge, e poi
torna e ’ntorno le scherza alto su i vanni.
Anime incaute e semplicette o voi,
non sia chi creda a que’ soavi inganni.
Fuggite (oimè) gli allettamenti suoi,
insidie i vezzi, e son gli scherzi affanni.
sempre là dov’ei ride è strazio acerbo.
O Dio quanto è crudel, quanto è superbo!

20.Questa dolce Magia, che per usanza
l’anime nostre a vaneggiar sospinge,
tal in sé di piacer ritien sembianza,
che quasi in amo d’or le prende e stringe.
Or se tanta han d’Amor forza e possanza
soli gli effetti allor ch’inganna e finge,
deh che fora a mirar viva e sincera
di quel corpo immortal la forma vera?

21.Di splendor tanto e sì sereno ognora
quel bel corpo celeste intorno è sparso,
che perderebbe ogni altro lume e fora
(senza escluderne il Sol) debile e scarso.
Stupor non sia, se Psiche (e chiusi ancora
avea gli occhi dal sonno) il cor n’ebb’arso
e vide innanzi a quella luce eterna
vacillando languir l’aurea lucerna!

22.Oh se nel fosco e torbido intelletto
di quella luce una scintilla avessi,
sì che, come scolpito il chiudo in petto,
così scoprirlo agli occhi altrui potessi,
farei veder nel suo giocondo aspetto
di bellezze divine estremi eccessi;
onde, scorgendo in lui tanta bellezza,
ragion la madre ha ben, se l’accarezza.