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canto terzo 159


27.Pargoleggiando il bianco collo abbraccia,
bacia il bel volto e le mammelle ignude.
Ride per ciancia, e la vermiglia faccia
dentro il varco del petto asconde e chiude.
Ella, ch’ancor non sa qual le minaccia
l’atto vezzoso acerbe piaghe e crude,
colma di gioia tutta, e di trastullo,
si stringe in grembo il lusinghier fanciullo.

28.Stretto in grembo si tien la Dea ridente
il dolce peso entro le braccia assiso.
Su ’l ginocchio il solleva, e lievemente
l’agita, il culla, e se l’accosta al viso.
Or degli occhi ribacia il raggio ardente,
or de la bocca il desïato riso:
né sa che gonfia di mortal veleno
una Serpe crudel si nutre in seno.

29.Le colorite piume e le bell’ali,
che ’l volo scompigliò, l’aura disperse,
e le chiome incomposte e diseguali
polisce con le man morbide e terse.
Ma l’arco traditor, gl’infidi strali,
onde dure talor piaghe sofferse,
non s’arrischia a toccar, ché sa ben ella
qual contagio hanno in sé l’aspre quadrella.

30.Seco però, mentre che ’n braccio il tiene,
d’alquanto divisar pur si compiace.
— Figlio, dimmi — dicea — poi che conviene
ch’esser tra noi non deggia altro che pace,
perché prendi piacer de l’altrui pene?
Come sei sì protervo, e tanto audace,
ch’ognor con l’armi tue turbi e molesti
la quïete del Cielo, e de’ Celesti? —