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160 l’innamoramento


31.— Madre — risponde Amor — , s’erro talora,
ogni error mio per ignoranzia accade.
Tu vedi ben, che son fanciullo ancora:
condona i falli a l’immatura etade. —
— Tu fanciul? — replicò Venere allora. —
Chi sì stolto pensier ti persuade?
Coetaneo del Tempo, e nato avante
a le stelle ed al Ciel, t’appelli infante?

32.Forse, perché non hai canute chiome,
te stesso in ciò semplicemente inganni?
E ti dài pur di pargoletto il nome,
quasi l’astuzia poi non vinca gli anni! —
— E qual mia colpa — Amor soggiunge — o come
altri da me riceve offese o danni?
Perché denno biasmar l’inique genti
sol di gioia ministre armi innocenti?

33.In che pecco qualora altrui mostr’io
le cose belle? o che gran mal commetto?
Non accusi alcun l’arco o il foco mio,
ma se medesmo sol, ch’erra a diletto.
Se ’l tuo gran Padre, o qualunqu’altro Dio
si lagna a le mie forze esser soggetto,
di’ che ’l dolce non curi, il bel non brami,
e chi d’Amor non vuol languir, non ami. —

34.Ed ella: — Or tu, ch’ognor tante e sì nove
spieghi superbo in Ciel palme e trofei,
tu, che con alte e disusate prove
puoi tutti a senno tuo domar gli Dei,
tu, che non pur del sommo istesso Giove
vittorïoso e trïonfante sei,
ma da’ tuoi strali ancor pungenti e duri
me che ti generai non assecuri: