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canto terzo 185


131.Sì disse, e Pitho il persuase e vinse,
ch’entro le labra de la Dea s’ascose.
Pitho ministra sua d’ambrosia intinse
quelle faconde ed animate rose.
Pitho in leggiadri articoli distinse
le note accorte, e ’l bel parlar compose.
Pitho da la dolcissima favella
sparse catene, ed aventò quadrella.

132.Fusse la gran söavità di queste
voci, che ’l giovenil petto percosse,
o del bel cinto, ond’ella il fianco veste,
pur la virtù miracolosa fosse;
dal dolce suon del ragionar celeste
invaghito il Fanciul tutto si mosse;
ma quel che ’n lui più ch’altro ebbe possanza,
fu la divina oltramortal sembianza.

133.Un diadema Ciprigna avea gemmante,
gemme possenti a concitare amore.
V’era la pietra illustre e folgorante
c’ha da la Luna il nome e lo splendore,
la Calamita, ch’è del ferro amante,
e ’l Giacinto, ch’a Cinthio accese il core.
Ma la virtù de’ lucidi gioielli
fu nulla appo l’ardor degli occhi belli.

134.La destra ella gli stese, e ’l vago lino
scorciò, che nascondea la neve pura:
ond’implicato in un cerchietto fino,
che con mista di gemme aurea scultura
facea maniglia al gomito divino
rigido di barbarica ornatura,
(fuss’arte o caso) dilicato e bianco
fece il fuso veder del braccio manco.