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206 la novelletta


23.Il carro ascende, e d’impiegar disegna
del figlio in quest’affar le forze e l’armi.
Ma convien ch’i suoi Cigni a fren ritegna,
ché dubbiosa non sa dove trovarmi.
Per le belle contrade, ov’ella regna,
di lido in lido invan prende a cercarmi,
poi che quivi e per tutto in terra e ’n Cielo
come e quando mi piace, altrui mi celo.

24.Prendo qual forma voglio a mio talento
e con l’acque e con l’aure io mi confondo.
Talor grande così mi rappresento,
che visibil mi faccio a tutto il mondo.
Talvolta poi sì picciolo divento
ch’entro il giro d’un occhio anco m’ascondo.
Infin son tal, che ben che m’abbia in seno,
chi più mi sente mi conosce meno.

25.Lascia la Grecia e prende altri sentieri,
vaga d’udir novelle ov’io mi sia;
né più de l’Asia entro i famosi imperi
de le vestigia mie la traccia spia:
ma stimulando i musici corsieri,
verso le piagge italiche s’invia;
ché sa ben quanto in que’ fioriti poggi
vie più ch’altrove, io volentieri alloggi.

26.Giunge in Adria la bella, e quivi intese
che v’albergava il mio nemico Onore,
e Beltà cruda, ed Onestà cortese,
Nobiltà, Maestà, Senno e Valore.
Passò poscia a Liguria, e vi comprese
apparenza d’Amor vie più ch’Amore:
ch’io ne’ begli occhi e ne’ leggiadri aspetti
sol vi soglio abitar, ma non ne’ petti.