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canto quarto 205


19.Deh che mi val, già figlia al gran Tonante,
posseder d’ogni onor le glorie prime?
e poter de la via bianca e stellante
a mio senno varcar l’eccelse cime?
Qual pro, ch’ogni altro Dio m’assorga avante
come a Dea tra le Dee la più sublime?
e che quantunque il Sol vede e camina
mi conosca e confessi alta Reina?

20.Lassa, i’ son pur colei ch’ottenni in Ida
titolo di beltà sovra le belle,
e ’l litigato d’òr pomo omicida
trïonfando portai meco a le stelle;
che fu principio a così lunghe strida,
ed ésca de l’Argoliche fiammelle;
onde sorser tant’armi, e tanti sdegni,
per cui già d’Asia inceneriro i regni!

21.Ed or fia ver, che ’n temeraria impresa
la palma una vil femina mi tolga?
Attenderò che fin in Cielo ascesa
l’orbe mio, la mia stella aggiri e volga?
Ah di divina maëstate offesa
giusto fia ben, ch’omai si penta e dolga:
ché l’ingiuria in colui che tempo aspetta
cresce col differir de la vendetta.

22.Qualqual si sia, l’usurpatrice ardita
del grado altier di sì sublime altezza,
non molto gioïrà, non impunita
n’andrà lunga stagion di sua sciocchezza.
Vo’ che s’accorga alfin tardi pentita
che dannosa le fu tanta bellezza.
Stolta de l’alte Dive emula audace,
io ti farò...» Qui tronca i detti, e tace.