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Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/206

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204 la novelletta


15.La vera Dea d’Amor, che dal Ciel mira
cotanto insolentir donna mortale,
e vede pur, che ’ndegnamente aspira
a divin culto una bellezza frale;
impazïente a sostener più l’ira,
dàssi in preda ai furori in guisa tale,
che crollando la fronte, e ’l dito insieme,
questi accenti fra sé mormora e freme:

16.«Or ecco là chi da’ confusi Abissi
l’Universo costrusse, e ’l Ciel compose;
per cui distinto in bella serie aprissi
l’antico Seminario de le cose;
colei ch’accende i lumi erranti e i fissi,
e ne fa sfavillar fiamme amorose;
di quanto è nato e quanto pria non era
la madre prima, e la nutrice vera!

17.Con la mia deïtà dunque concorre
un corpo edificato d’elementi?
Soffrirò ch’ogni vanto a me di tòrre
crëatura caduca ardisca e tenti?
che sovra l’are sue vittime a porre
sprezzando i templi miei, vadan le genti?
che ’l sacro nome mio con riti insani
in suggetto mortale or si profani?

18.Sì sì soffriam, che con oltraggio indegno
nostra compagna pur costei si dica;
che commune abbia meco il Nume e ’l regno
la mia Vicaria in terra, anzi nemica.
Ancor di più dissimuliam lo sdegno
che siam dette io lasciva, ella pudica;
ond’io ceda in tal pugna, e far non basti
che non mi vinca ancor, non che contrasti.