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Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/212

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210 la novelletta


39.Né de le guance la vermiglia Aurora
al Sol degli occhi di bellezza cede;
i cui candori un tal rossor colora
qual in non còlto ancor pomo si vede.
Ombra soave, ch’ogni cor ristora,
un rilievo vi fa, che non eccede,
e con divorzio d’intervallo breve
distingue in duo confin l’ostro e la neve.

40.Somiglia intatto fior d’acerba rosa,
ch’apra le labra de le fresche foglie,
l’odorifera bocca e prezïosa,
ch’un tal giardino, un tal gemmaio accoglie
che l’India non dirò, ricca e famosa,
ma ’l Ciel nulla ha di bel, s’a lei nol toglie.
Se parla o tace, o se sospira o ride
(che farà poi baciando?) i cori uccide.

41.In reticella d’òr la chioma involta,
più ch’ambra molle, e più ch’elettro bionda,
o stretta in nodi, o in vaghe trecce accolta,
o su gli omeri sparsa ad onda ad onda,
tanto tenace più quanto più sciolta,
tra procelle dorate i cori affonda.
L’aure imprigiona, se talor si spiega,
e con auree catene i vènti lega.

42.Che dirò poi del candidetto seno,
morbido letto del mio cor languente?
ch’a’ bei riposi suoi, quando vien meno,
duo guanciali di gigli offre sovente?
Di neve in vista e di pruine è pieno,
ma ne l’effetto è loco e fiamma ardente:
e l’incendio, che ’n lor si nutre e cria,
le Salamandre incenerir poria.