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canto quarto 211


43.Quand’ebbi quel miracolo mirato,
dissi fra me, da me quasi diviso:
«Sono in Ciel? sono in terra? il Ciel traslato
è forse in terra? o Cielo è quel bel viso?
Sì sì, son pur lassù, son pur beato
tuttavia (come soglio) in Paradiso!
Veggio la gloria degli eterni Dei.
La bella madre mia non è costei?

44.No che non è: vaneggio! il ver confesso,
Venere da costei vinta è di molto.
Ahi che ’l pregio a la madre a un punto istesso
ed al figlio egualmente il core ha tolto!
Chi può senza morir mirar l’eccesso
di sì begli occhi (oimè) di sì bel volto,
vadane ancora poi, vada e s’arrischi
a mirar pur securo i Basilischi!

45.O macelli de’ cori, occhi spietati,
di chi morir non pote anco omicidi,
voi voi possenti a soggiogare i Fati
siate le sfere mie, siate i miei nidi.
In voi l’arco ripongo, e i dardi aurati,
che se poi contro me saranno infidi,
più cara (in tali stelle è la mia sorte)
ile l’immortalità mi fia la morte».

46.Veggiola, mentre parlo, in atti mesti
starsi sola in disparte a trar sospiri;
ché quantunque le sue più che celesti
forme, ben degne degli altrui desiri,
da mille lingue e da quegli occhi e questi
vagheggiate e lodate il mondo ammiri,
alcun non v’ha però di genti tante
che cheggia il letto suo, cupido amante.